Abarth
In pista a Balocco con la 124 Rally.
Come tutti quelli nati negli anni ’60, c’è stato un periodo – neppure troppo breve, tutto il decennio successivo – in cui deliravo per i rally. Mi piacevano le macchine, perché sembrava si potesse correre con qualsiasi cosa, dalle super sportive tipo Stratos ai modesti aggeggi della proletaria quotidianità. E mi piacevano pure i piloti, strane figure ricolme di estro, funamboli pronti a sfidarsi sulle strade di tutti i giorni in un equilibrio che sembrava farsi beffe dell’aderenza e della fisica. Quelli della Formula 1 erano diversi, o perlomeno così mi apparivano: meno giocosi, meno guasconi, sempre vagamente preoccupati di finire interi la gara, come mi confessò parecchi anni dopo uno non tacciabile di codarderia come sir Stirling Moss. Nei rally degli anni 70 questa sensazione d’incombente tragedia sembrava non avesse diritto di cittadinanza (l’avrebbe guadagnata più tardi con l’arrivo delle terrificanti Gruppo B): era uno sport divertente anche da andare a vedere, sulle colline dietro casa o andando in esotica trasferta per gli appuntamenti più prestigiosi, con le tifoserie delle marche sempre pronte allo sfottò e al ludibrio dell’altrui campione (comprese alcune manesche eccezioni come le scazzottate notturne sul Turini fra francesi e italiani). Nei primi anni 90, apprendista a Quattroruote, mi facevo raccontare le nascoste storie di quegli anni dal mio capo Emanuele Negri di Sanfront, che tra un articolo e l’altro aveva trovato nel 1975 il tempo di vincere l’Italiano sulla 124 Abarth assieme a Bobo Cambiaghi, aka la Jena. La maggior parte degli aneddoti erano vietati ai minori, per contesto o linguaggio (o entrambi, nei casi migliori): se volete assaggiare il gusto dell’epoca, e magari apprendere gli esplosivi epiteti con cui il compianto Cambiaghi accompagnava i traversi, cercate “Rally ’70” (Edizioni Ananke), il libro in cui Sanfront racconta l’epica di un periodo leggendario. Tutto questo per dire che quando l’Abarth mi ha offerto di provare la 124 da rally, quella nuova, a Balocco, non ho saputo resistere. Pazienza se poi la storia mi ha reso un pistard. E pazienza se la mia unica esperienza su una macchina da rally risale a metà anni 90 con una Mazda 323 (dopo un paio d’ore pensavo già di essere pronto per il Mondiale, poi salì al volante Stig Blomqvist e mi diede una lezione di guida e d’umiltà che ancora mi ricordo). Quell’auto dovevo guidarla.
Divertimento meccanico in un mondo digitale. E così è stato, complice una serie di modifiche che la Casa ha apportato per la stagione in corso, dopo le prime due annate di gara. Il motore rimane il 1.750 della 4C con un filo più di 300 cavalli, ma i tecnici hanno lavorato sulla linearità dell’erogazione, per renderla meno brutale ai bassi regimi. Inoltre, sono stati modificati differenziale, con nuove tarature, e cambio sequenziale Sadev a 6 marce, che ora – grazie a un attuatore pneumatico – è più veloce a salire e più morbido a scalare (per evitare bloccaggi del posteriore). Interventi anche al freno a mano, ottimizzato nello sgancio e riaggancio della frizione. Volendo, ora c’è anche uno speciale kit rialzato per le gare su sterrato. Oggi a Balocco, però, sulla terra non si va: l’Abarth ha ricavato un mini circuito tutto asfalto, con un paio di brevissimi allunghi a intervallare un toboga studiato per esaltare l’agilità di una macchina che sta arrivando alla sua maturazione agonistica e che inizia a farsi valere – lei, trazione posteriore – in un mondo dominato da tutt’avanti e 4WD. Abituato alla brutalità delle slick da pista, che vanno scaldate ossessivamente, i 20/65-18 leggermente intagliati mi danno una confidenza francamente inaspettata. A freddo, si avverte una certa disomogeneità di comportamento, con passaggi troppo bruschi tra sotto e sovrasterzo, ma siamo ben lontani dalle perdite di grip assassine delle slick fredde (soprattutto sulle trazioni anteriori). Da perfetto incosciente, tengo il manettino del controllo trazione su off: ci sono quattro posizioni, secondo il gusto del pilota, ma mi dico che se suggestione seventies dev’essere, lo sarà fino in fondo. In realtà, si capisce subito che la macchina è “sana”, come amano dire i collaudatori, e che è difficile mettersi nei guai. Una volta compreso come gestire la transizione volutamente rapida tra il muso che allarga in ingresso e la coda che scoda in uscita, si può iniziare ad andare forte: è una guida antica, lontana anni luce dalla pulizia che impongono le 4×4, dove l'”invito” – quel colpetto di sterzo magari accompagnato da una frenatina in ingresso – diviene una costante, così come il controsterzo. E mi ritornano in mente le parole del mitico navigatore Bernacchini, che diceva – a proposito della 124 originale – che “nelle speciali su sterrato era più il tempo che guardavi la strada dal finestrino laterale che dal parabrezza”. L’apoteosi personale l’ottengo quando, al terzo tentativo, riesco a far girare la 124 usando il freno a mano, senza perdere un secondo, anzi dipingendo una perfetta traiettoria che mi spara verso la esse successiva. Difficile trovare una macchina da corsa che per questo prezzo (110 mila euro, compresa l’iscrizione al trofeo) ti dia un divertimento così puro e meccanico, in un mondo dove tutto – anche le emozioni – è digitale.